Riaperte le indagini: “E’ un dovere morale” dice il capo degli inquirenti Ettore Picardi a SuperJ. Due archiviazioni, l’ultima del 2010: non c’è un volto per chi massacrò i coniugi nella loro abitazione a Nereto nel 2005
TERAMO – Un mistero lungo 14 anni fa, che un decreto di archiviazione rischia di far diventare per sempre irrisolvibile. Era la mattina del 1° giugno 2005 quando i cadaveri orribilmente offesi dell’avvocato Libero Masi e della moglie Emanuela Cheli, furono trovati nella loro abitazione di via Lenin a Nereto.
Anni di indagini, pagine e pagine di fascicoli, appelli, intercettazioni, testimonianze, due chiusure e due riaperture prima delle sei pagine della definitiva archiviazione del 2010: si è provato, ma inutilmente, a dare un volto e un nome agli assassini. La scomparsa del deputato rosetano Pio Rapagnà, amico della coppia, ha fatto venire in meno anche l’ultimo di quelli che resistevano a credere che il caso era impossibile da risolvere, quasi un delitto perfetto, e che chiedeva di riaprire le indagini.
Oggi, a distanza di 14 anni, ci prova il procuratore capo Ettore Picardi, il quale con molta precauzione ha disposto il riesame della grande mole dei documenti giudiziari che hanno caratterizzato le indagini. C’è cautela, ma il capo della procura, che già indagò ad Ascoli sul delitto di Melania Rea prima del trasferimento del caso a Teramo, individuando da subito il marito quale omicida, ripone ancora fiducia nel fatto che magari una nuova valutazione di alcuni elementi o la verifica di piste poco percorse all’epoca possano svelare quel velo consistente e magari condurre gli investigatori fuori dal vicolo cieco in cui ci si è ficcati. “E’ un dovere morale – dice al microfono di Paola Peluso di SuperJ -“.
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